Pictures of You

(San) Valentino

... Ma guarda che coincidenza!!!... Pictures of You di Cure proprio oggi, a San Valentino!...è da parecchio che non sento questa canzone! ... La mia musica preferita dell'adolescenza... è come una macchina del tempo che mi trasporta nell'epoca in cui ho sentito la prima volta questa canzone stupenda... 

Era quel periodo particolare della fine degli anni ottanta quando in Ungheria già si percepiva un certo cambiamento. Qualcosa di magico vibrava nell'aria. Si avvicinava sempre di più qualcosa che nessuno di noi poteva immaginare esattamente cosa sarebbe stata e soprattutto come sarebbe finita...poi è arrivata la rivoluzione nell' 89, la caduta del Muro di Berlino, nel 90 le prime elezioni democratiche dopo più di quarant'anni. Ma prima...prima quell'atmosfera indimenticabile, strana, irripetibile. Io non avevo neanche 13 anni ma ho capito che stava per succedere qualcosa di importante. 

Avevo questa sensazione soprattutto perché gli adulti si comportavano in modo strano. Erano prima di tutto impauriti. Sempre nervosi, stressati, loro più consapevoli rispetto a noi bambini, avevano le loro esperienze storiche, le preoccupazioni, le paure. Ma erano anche speranzosi e entusiasti allo stesso momento. Aspettavano, o meglio: speravano qualcosa. A questa cosa così tanto sperata e desiderata non riuscivano a dare un nome. Non avevano il diritto neanche di pronunciarlo. Si chiamava: libertà. Li-ber-tá. Ne più, ne meno. La libertà di parlare tranquillamente, di spostarsi senza essere controllati, di esprimersi, di viaggiare, di scegliere, di votare, di credere o di non credere in Dio. La libertà di tutto. Io non capivo questo in modo chiaro, perché appunto, gli adulti non erano liberi ad esprimersi. Poteva essere pericoloso parlare della libertà ai bambini. Quindi noi bambini semplicemente intuivamo che stava per accadere qualcosa di importante.

Era il periodo in cui ogni volta che una manifestazione o una protesta è stata organizzata in città o da qualche parte nel paese, mio padre è tornato a casa con 10 chili di zucchero e 10 chili di farina e l'ha posato nello sgabuzzino. La prima volta mia mamma ha chiesto il perché, e lui, con un sorriso, e come se non ci fosse niente di strano ha risposto: solo per sicurezza, non vi preoccupate. Poi mia mamma ha spiegato. Mio padre era preoccupato: se dovesse succedere una rivoluzione o se scoppiasse la guerra, in quel caso la farina e lo zucchero ci potrebbero salvare la vita. Per mio padre la guerra significa fame. Sono due cose inseparabili nella sua testa. E nato durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e ha vissuto anche il trauma della fame di dopo guerra. A casa loro capitava spesso che non c'era niente da mangiare. Poi, quando era già adolescente, la rivoluzione del '56 con tutte le sue conseguenze. Insomma, da queste esperienze ha imparato che con farina e zucchero si può sopravvivere per un bel po'. La farina serve per fare il pane e lo zucchero dà l'energia. Ecco perché ha comprato 10 chili di zucchero e 10 chili di farina ogni volta che c'è stata una protesta. E sempre la stessa quantità, ne più ne meno: 10 - 10 chili. Sistematicamente. Ma ogni volta l'ha fatto con un sorriso, anzi ha posato tutto nello sgabuzzino ridendo come se fosse una barzelletta.

- Non vi preoccupate. Solo per sicurezza - ripeteva. Alcuni pensavano che fosse esagerato. Io, personalmente, non lo penso così... Adesso lo sappiamo che non si è scoppiata la guerra, e anche la rivoluzione, grazie a Dio, era una rivoluzione senza una goccia di sangue come chiamiamo noi, senza nessuna vittima... Ma solo ora lo sappiamo che è andata così perché già è passato. In realtà poteva succedere tutto e di più. Nessuno poteva prevedere il futuro.

Era il periodo particolare in cui si sentiva un po' di libertà in più, come un soffio di vento caldo a marzo che inaspettatamente accarezza il viso dopo un lunghissimo inverno. Anche se tante cose erano ancora proibite dal sistema, comunque almeno non si finiva in galera. La musica, ad esempio. Prima, negli decenni precedenti tutta la musica occidentale era considerata dannosa come un veleno, ed era proibita. I dischi degli cantanti americani bisognava comprare  in qualche modo di nascosto come se fossero droga. In un certo senso, lo erano. Ci trasportavano nei posti mai visti in realtà, ci facevano immaginare cose mai vissute proprio come le allucinazioni causate di certe droghe. 

Invece negli anni ottanta già si potevano comprare dischi legalmente. A scuola portavamo il nostro walkman e nelle pause si scambiavano cassette. C'era chi ascoltava Modern Talking, Micheal Jackson, oppure Wham, George Michael, A-ha, Madonna, Boy George, Roxette, i grandi classici degli anni ottanta.

Un giorno è arrivato un ragazzo nuovo in classe...un ragazzo proprio bello bbbello bbbellissimo, bello da morire. Il più bello che io abbia mai conosciuto. Occhi verdi, enormi, espressivi, capelli ricci, bel naso, bellissime labbra, come se fossero disegnate, zigomi leggermente salienti che davano al suo viso quel tocco spavaldo, avventuroso. Aveva anche un bel fisico, era alto, corpo proporzionato, bei muscoli perché praticava diversi sport e aveva un annetto di più rispetto a noi, ne aveva tra 14-15... Un dio, praticamente ... un dio adolescente. Aveva anche una piccola cicatrice sul viso, una specie di taglio sotto lo zigomo sinistro e questa piccola, unica imperfezione esaltava ancora di più la sua bellezza. Ma questo particolare ho scoperto solo quando era più vicino a me: in realtà qualche istante dopo la sua prima apparizione perché la maestra l'ha fatto sedere proprio accanto a me. Succedeva spesso che gli insegnanti hanno sistemato accanto a me ragazze o ragazzi nuovi, non so esattamente per quale motivo. In questo caso ero particolarmente contenta per la decisione della maestra. 

Perciò questa creatura meravigliosa, questo piccolo dio ogni mattina è arrivato a scuola, salutava tutti e si è seduto accanto a me! Era incredibile! Uno shock ogni mattina, ma almeno mi svegliavo come si deve. All'inizio non parlava molto, era sicuramente diffidente, e io rispettavo i suoi tempi. Aveva uno sguardo serio come uno che sa qualcosa, molto di più degli altri ma non può svelare tutto quello che sa. Quando parlava guardava diritto diritto negli occhi con uno sguardo intenso. Il colore degli occhi era un colore profondo, un verde caldo. Era un ragazzo misterioso. Non gli interessava molto la scuola, quello che dicevano gli insegnanti lo ascoltava ma sembrava abbastanza annoiato. Durante le spiegazioni anziché seguire il ragionamento dell'insegnante faceva disegni... E questi disegni mi spaventavano. Erano sempre scuri, crudeli, con figure grottesche, mostri che ridevano, poi teschi tagliati, gocce o fiume di sangue, ma anche il colore del sangue era sempre nero profondo, spade insanguinate, armi, poi c'erano queste figure mezzo animale-mezzo uomo. Era tutto molto inquietante e brutto per me. Non capivo: ma come può uscire dalle mani di questo ragazzo stupendo tutta questa bruttezza.

Una volta, con la sincerità e con la spontaneità delle bambine, perché in realtà, avendo 13 anni, lo ero, ho chiesto a lui:

- Ma perché fai disegni così brutti?

Lui non mi ha risposto, ma ha fatto un sorriso e sembrava contento, anzi fiero, come se avessi detto che erano belli... Non capivo... Un attimo... Forse non ha sentito bene cosa ho detto? Sembrava che per lui fosse un giudizio positivo che io ho detto che sono brutti. Questo mi dava fastidio. 

- Non hai capito. Ho detto che sono proprio brutti brutti... - lui continuava a sorridere- Bruttissimi!... Orrendi! Fanno schifo!... E fai schifo anche tu!!!! - gli gridavo infuriata. 

Lui, contentissimo, ha risposto con quel sorriso orgoglioso.

Comunque già il giorno dopo abbiamo fatto pace. Come fanno i bambini che mentre giocano litigano un po', ma non passano neanche 5 minuti e giocano di nuovo insieme, in modo spontaneo e naturale, senza chiedere perdono o senza dire parole drammatiche, semplicemente seguendo le regole del cuore e il desiderio di stare insieme.  

Però da allora in poi lui mi provocava sempre di più con questi disegni inguardabili, li faceva sul quaderno, sui libri, sul banco, poi continuava sul mio quaderno. 

Per il resto era un ragazzo normale, si è sciolto sempre di più, nelle pause parlava e scherzava con gli altri ragazzi. Anche tra noi c'era un feeling, una specie di amicizia, o qualcosa di più, una complicità mischiata alla curiosità naturale che avevamo tutti noi adolescenti nei confronti dell'altro sesso. E io lo ammiravo per la sua bellezza, ma mi spaventavano i suoi disegni crudeli. Era un ragazzo misterioso, interessante, ma la sua anima era turbata e questo mi spaventava e mi frenava.

Tanto, io ero già innamorata! Da 12-15 anni io ero perennemente innamorata. Era la mia attività principale. Mi bastava poco per scattare qualcosa in me, mi piacevano i difetti, i contrasti, le contraddizioni: intelligente ma asociale, forte ma ingenuo, bello ma timido, brutto ma divertente, e il classico duro con cuore tenero, etc etc... Ma quando mi sono innamorata di qualcuno non mi dimenticavo degli altri, di quelli precedenti, no no! Io ero fedele, in fondo! Si è semplicemente aggiunto un nuovo ragazzo alla mia lista immaginaria che era posata nel mio cuore adolescente. Tecnicamente funzionava così: quello che ho visto prima di mattina  a scuola era l'amore della mia vita - quel giorno...Quella mattina. Perché quello che ho visto l'ultima volta a scuola era l'amore della mia vita - di pomeriggio. Erano in rotazione, così non ho abbandonato nessuno e così non sono rimasta neanche un giorno senza innamoramento. Se un ragazzo è rimasto a casa per raffreddore non succedeva niente: c'era sempre qualcun'altro in riserva.

Facevo la collezione degli innamoramenti. Mentre mio padre raccoglieva sistematicamente farina e zucchero io raccoglievo innamoramenti. Mio padre riempiva il ripostiglio con alimenti e io riempivo il mio cuore con amore di diversi ragazzi. 

Un giorno, mentre aspettavamo a un insegnante in classe, il mio meraviglioso e misterioso compagno di banco cercava di provocarmi facendo un disegno che rappresentava un mostro a sei zampe mezzo cane mezzo uomo con la testa appena tagliata schizzando sangue dal collo, e all'improvviso mi ha chiesto:

- Ma tu che tipo di musica ascolti?

- A me piace George Michael, A-ha, e ultimamente Roxette- gli ho risposto guardando il suo disegno con faccia schifata e appositamente con un'espressione di disprezzo.

- Puahahahahahahaha ... Puahhhhhahhhhhhaha - lui ha fatto una risata mai vista prima da parte sua. Io ero scioccata. Intanto sembrava impossibile, ma è diventato ancora più bello quando rideva. Poi non capivo cosa c'era da ridere, poi sentivo anche vergogna, imbarazzo e alla fine rabbia. 

Così, stupita dalla sua bellezza, imbarazzata, umiliata, arrabbiata e allo stesso momento curiosa  non mi ero mai sentita. Un insieme di sentimenti forti mai sentiti nello stesso istante. Non riuscivo a pronunciare neanche una parola.

Lui, dopo che ha finito la sua risata dell'anno, mi ha assicurato che mi avrebbe fatto ascoltare musica vera. Ha detto con queste parole: musica vera. Il giorno dopo si è presentato con una cassetta di Cure, e questa volta con lo sguardo serio mi ha detto:

- Tieni. Ho fatto una copia per te. Vedi, ho scritto anche i titoli. Ascoltala. Se ti piace ti porto altro.

Dopo scuola, appena arrivata a casa, la prima cosa che ho fatto era naturalmente ascoltare la cassetta. Ero sconvolta. Era qualcosa di molto diverso di tutto quello che conoscevo. Mi è piaciuta subito dal primo all'ultimo brano. Ascoltavo e riascoltavo, lato A, lato B, poi di nuovo dall'inizio...Mi sono persa... Ho dimenticato anche l'innamoramento. Non mi ricordavo neanche chi era di turno a farmi innamorare... O meglio: mi sono innamorata di questa musica. Ascoltavo e riascoltavo finché mio padre è arrivato a casa, tutto allegro, anzi entusiasta, con farina e zucchero. 

-Ciao papi, che è successo?

-Niente, ho comprato un po' di farina e un po' di zucchero.

-lo vedo, ma in città che è successo?

-C'è una manifestazione in piazza Kossuth. Una marea di gente davanti al Parlamento! Si parla di... di... poi te lo spiego... ora aiutami a posare le cose.

-Papi non ci entrano più nello sgabuzzino. E una quantità industriale. Potremmo allestire l'esercito!

-...mbeh...

Era come per dire: l'idea non era così assurda. Ho capito la sua battuta e ridevamo insieme.

L'indomani sono arrivata a scuola molto presto e non vedevo l'ora di chiedere altra musica a lui. Lui non rideva più, non scherzava, ormai si sentiva responsabile della mia educazione musicale. Mi ha portato sempre cassette nuove, ma con una serietà, una consapevolezza, un senso di responsabilità paragonabile a un vecchio maestro giapponese che insegna spiritualità dell'arte marziale tradizionale nell'istituto più antico del suo paese. 

Così ho conosciuto la musica di Cure, Depeche Mode e Mission che tutt'oggi sono tra i miei gruppi preferiti e quando li sento mi portano in quel periodo magico della fine di agli anni ottanta.

Un giorno lui mi ha chiesto:

- Ma tu lo capisci di che cosa canta? Sai che significano le parole disintegration, o lulleby o Cure? Non sai neanche che significa il nome del gruppo!

- Certo che non lo capisco- gli ho risposto. - E in inglese.

All'epoca nessuno parlava l'inglese: era considerata la lingua del nemico. A scuola il russo era obbligatorio, quindi al massimo il tedesco era una lingua alternativa che si poteva insegnare o studiare con lezioni private. Ma a scuola c'era solo russo. Perciò per me era ovvio che tutto quello che era in inglese non lo capiva nessuno.

- Ma perché? Tu lo capisci? - gli ho chiesto stupita.

- Certo che capisco. Anche il testo, le parole sono importanti quando ascolti musica-spiegava.

-Ma tu come mai lo capisci?

-Ho vissuto all'estero. A Kuwait. Sai, dove c'era la guerra.

-Cosa???

-A Kuwait. Dove c'era la guerra. La Guerra di Golfo. E mi guardava diritto diritto negli occhi. 

Silenzio.

-Sul serio?

-Sì.

Silenzio.

Io, di nuovo ero sconvolta. Per me quel mondo era troppo lontano, l'ho visto nelle notizie, ma per me era talmente distante come se fosse sul Marte... o come se fosse solo in quella scatola che si chiama televisore... O come se neanche esistesse... Invece questo ragazzo ha vissuto proprio lì, quindi esiste quel mondo, esiste la guerra. Non è sul Marte né nella scatola. E ho capito immediatamente il significato dei suoi disegni.  Avevo 13 anni, non avevo studiato psicologia, non avevo mai sentito parlare delle analisi psicologiche dell'arte o di un semplice disegno. Ma io ho capito immediatamente il collegamento tra i disegni assurdi, crudeli e la guerra.

Mentre riflettevo lui mi guardava con quello sguardo intenso, sincero, onesto che mi piaceva così tanto. Aspettava una reazione. Ma io ero talmente ignorante, troppo ingenua, forse un po troppo bambina, stupidina, che non riuscivo neanche a fare delle domande.

Volevo chiedere qualcosa ma non sapevo neanche cosa.

Chissà perché i suoi genitori hanno vissuto lì? Sicuramente per lavoro. Ma cosa facevano? O suo padre era un militare? Poi per quanto tempo? Quanti anni? E alla fine esattamente per quale motivo si sono trasferiti a Budapest? ... E potevo fare tante altre domande. Come hanno vissuto lì, cos'ha visto lui? Com'era andare a scuola lì, come viveva la gente comune? Come cambia la vita delle persone quando il paese in cui vivono è in guerra? 

Ma io tutte queste domande non riuscivo ad esprimere, un po' per paura, un po' per mancanza di esperienza.

Quindi, purtroppo, non ho fatto nessuna domanda tranne la stupida frase: "sul serio?"

Dico purtroppo perché ho visto che lui aspettava reazioni, domande e avrebbe avuto tanto bisogno di parlare. Ma io ero troppo bambina, ignorante, stupidina.

Però non ho detto mai più che i suoi disegni erano brutti e non li guardavo con la faccia schifata. Lui continuava a disegnarli in modo che io li vedessi. Era una provocazione, sì. Ma era anche il suo modo di comunicare, di raccontare il suo disagio.  Voleva condividere le sue esperienze brutte e le sue paure.  Quei disegni grotteschi erano i suoi demoni che turbavano la sua anima e lui voleva liberarsi di loro in qualche modo. Era un grido d'aiuto. Ma io, purtroppo, non ero all'altezza di aiutarlo. Anche se volevo.

Comunque l'amicizia è rimasta tra noi, una certa complicità, o qualcosa di più.

E ora, dopo tanto tempo ho sentito questa canzone Pictures of you da qualche parte... Ah ... perché dico che è stata una coincidenza? Perché il nome di questo ragazzo misterioso che mi ha fatto conoscere la musica che mi accompagnava e mi consolava durante i duri anni dell'adolescenza era Bálint. In italiano Valentino. Hm... certo... anche il suo nome era bellissimo, non poteva essere diversamente.

Quindi oggi, il giorno di San Valentino, mentre ascolto Pictures of You, penso a te caro Valentino, bellissimo Bálint... Ti ringrazio per la tua bellezza. Poi ti ringrazio di più per la musica che era un regalo per tutta la mia vita. Ma ti ringrazio soprattutto per quello che ho imparato da te anche se inconsapevolmente. Spero che tu abbia vinto i tuoi demoni.

"If only I'd thought of the right words

I could have held on to your heart

If ony I'd thought the right words

I wouldn't be breaking apart

All my pictures of you."